venerdì 30 settembre 2011

The Mammoth Book of Best New Horror 22

The Mammoth Book of Best New Horror 22, edizione inglese 2011Doppia edizione in paperback – e doppia copertina, dunque – per l’ultima raccolta de “il meglio del nuovo horror” tradizionalmente curata dal veterano antologista inglese Stephen Jones.

The Mammoth Book of Best New Horror 22 esce infatti nel Regno Unito in ottobre per Constable & Robinson, presentato in questi giorni alla FantasyCon 2011 di Brighton, e a novembre negli Stati Uniti e in Canada per la Running Press, un marchio del gruppo editoriale americano Perseus Books.

La selezione di quest’anno comprende racconti di Ramsey Campbell, Joe R. Lansdale, Caitlín R. Kiernan, Steve Rasnic Tem e diversi altri noti e meno conosciuti nomi della contemporanea narrativa di genere, con alcune delle firme weird horror in maggior evidenza nell’ultimo periodo, da John Langan a Mark Samuels.

Maggiori informazioni presso le rispettive pagine web su www.constablerobinson.com e www.perseusbooksgroup.com. Qui a seguito l’indice dei contenuti.

The Mammoth Book of Best New Horror 22, edizione americana 2011Introduction: Horror in 2010 – Stephen Jones
What Will Come After – Scott Edelman
Substitutions – Michael Marshall Smith
A Revelation of Cormorants – Mark Valentine
Out Back – Garry Kilworth
Fort Clay, Louisiana: A Tragic History – Albert E. Cowdrey
Just Outside Our Windows, Deep Inside Our Walls – Brian Hodge
Fallen Boys – Mark Morris
The Lemon in the Pool – Simon Kurt Unsworth
The Pier – Thana Niveau
Featherweight – Robert Shearman
Black COUNTRY – Joel Lane
Lavender and Lychgates – Angela Slatter
Christmas with the Dead – Joe R. Lansdale
Losenef Express – Mark Samuels
Oh I Do Like To Be Beside the Seaside – Christopher Fowler
We All Fall Down – Kirstyn McDermott
Lesser Demons – Norman Partridge
Telling – Steve Rasnic Tem
As Red as Red – Caitlín R. Kiernan
With The Angels – Ramsey Campbell
Autumn Chill – Richard L. Tierney
City of the Dog – John Langan
When the Zombies Win – Karina Sumner-Smith
Necrology: 2010 – Stephen Jones e Kim Newman


The Mammoth Book of Best New Horror 22
a cura di Stephen Jones
Robinson, 2011
brossura, 512 pagine, £7.99
ISBN 9781849016186

Running Press, 2011
brossura, 560 pagine, $13.95
ISBN 9780762442706

Andrea Bonazzi

mercoledì 28 settembre 2011

Steve Somers, illustrazioni lovecraftiane

'Cthulhu Sketch' by Steve Somers
'Imago One' by Steve Somers
'Cthulhu in R'lyeh' by Steve Somers
'Cthulhu Lores' by Steve Somers
'Cthulhu Senior' by Steve Somers

È nato nel 1972 e vive a Milwaukee, nel Wisconsin. L’americano Steve Somers passa tranquillamente dal disegno alla pittura acrilica alle tecniche del digitale, senza escludere escursioni in campo scultoreo, in un vasto repertorio di illustrazione professionale che appare tuttavia prediligere i campi del surreale e del fantastico, fino al perturbante weird o i temi horror di genere come gli esempi lovecraftiani qui proposti.

“Perché realizzare questa roba, quando sai che non venderà? Perché non fare, piuttosto, più bambini dagli occhioni grandi e cuccioli? Perché non imbrigliare la palese banalità di così tanti pezzi? Tutte ottime domande. Non è che io sia un martire delle belle arti, o in qualche modo al di sopra del prostituire me stesso. Ho un lavoro, ho fatto un sacco di design commerciale. Non è nemmeno che presuma di far comprendere alla gente un qualche concetto intellettuale. Per me, è più come andare a caccia di conigli e insegnare trucchi al gatto,” racconta Stephen Somers parlando delle proprie opere sulle pagine web di Acrylic Age.

I lavori di Somers del periodo 1997-2008 sono pubblicati nel suo libro Individuals Within A Group. The Artwork of Stephen Somers (2009).

Gallerie: sito ufficiale stevesomersart.com; blog personale stevesomersart.blogspot.com; album in conceptart.org; pagina dedicata su cghub.com.

Andrea Bonazzi

lunedì 26 settembre 2011

La morte viola. Racconti esoterici e fantastici di Gustav Meyrink

La morte viola. Racconti esoterici e fantastici, 2011, copertinaLa raccolta di Gustav Meyrink La morte viola. Racconti esoterici e fantastici torna in libreria per la collana Ai confini dell’immaginario di Coniglio Editore, con una edizione riveduta e aggiornata del volume pubblicato nel 1988 presso Reverdito nella traduzione di Anna Maria Baiocco.

La presente uscita ripropone una scelta di 27 racconti, corredati di note esplicative, selezionati fra le 53 storie del compendio Des deutschen Spiessers Wunderhorn. Gesammelte Novellen, edito in tre tomi a Monaco nel 1913 riunendo insieme le precendenti antologie personali di Meyrink.

“Apologhi zen, vicende fantastiche e grottesche, deliri onirici e rivelatori, storie di puro orrore prendono vita nell’Impero Austro-Ungarico sulla via della decadenza, tra fine ’800 e inizio ’900. I racconti dello scrittore e occultista praghese Gustav Meyrink (1868-1932) prefigurano l’assedio e il crollo della fortezza Europa, minata di volta in volta da presenze inquietanti, americani in cerca d’oro, bramini portatori di millenarie sapienze, alchimisti, anatomisti folli, principi persiani crudeli e dottori dalle mostruose coltivazioni: forze nuove o antiche quanto il mondo, profonde quanto il nostro inconscio più nero, capaci di scardinare le sicurezze del vecchio continente. Meyrink – attuale oggi come allora – si diverte a mettere a nudo le tare di un positivismo ormai sterile, in un paradossale ribaltamento di prospettiva, dove medici, avvocati e burocrati, messi di fronte alla trama oscura dei simboli, si muovono come marionette kafkiane di un teatrino in disfacimento. Una strana contaminazione alchemica di gotico, satira, fantasy ed esoterismo, che è anche la messa a punto di uno stile e di un immaginario per il futuro autore del Golem, uno dei classici della letteratura mitteleuropea”.

Al tutto si accompagna l’intervento biografico “Meyrink parla della sua vita” (“Meyrink erzählt von seinem Leben”), apparso a firma di Francis sulla Hannoverscher Anzeiger – la “Gazzetta di Hannover” – del 18 ottobre 1931, oltre a una cronologia dell’autore, alla nota editoriale e il rinnovato saggio conclusivo di Gianfranco de Turris.

In copertina un’illustrazione di Thomas Theodor Heine realizzata nel 1903 per la rivista Simplicissimus. Informazioni sul libro presso le pagine web di coniglioeditore.it, mentre un sommario dei suoi contenuti è riportato a seguito.

Nota dei curatori – Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco
Cronologia di Gustav Meyrink e delle sue opere
Meyrink parla della sua vita – Francis
Il soldato bollente
La morte viola
Terrore
Tutta la vita è dolore ardente
Petrolio! Petrolio!
La regina dei Braghi
La sfera nera
Il preparato anatomico
Il dottor Lederer
L’opale
Sibili alle orecchie
L’uomo sulla bottiglia
La goccia di verità
Decadenza
Chimera
Suggestione
Lacrime bolognesi
G.M.
«Malato»
Coagulo
Le piante del dottor Cindirella
Bal Macabre
L’urna di San Gingolph
«Buddha è il mio rifugio»
Il baraccone delle figure di cera
L’albino
Febbre
Appendice: Meyrink fra grottesco e macabro – Gianfranco de Turris


La morte viola. Racconti esoterici e fantastici
Gustav Meyrink
collana Ai confini dell’immaginario, Coniglio Editore, 2011
brossura, 248 pagine, €13.50
ISBN 9788860632906

Andrea Bonazzi

sabato 24 settembre 2011

The Inhabitant of the Lake, il primo Ramsey Campbell

The Inhabitant of the Lake & Other Unwelcome Tenants, 2011, copertinaEra il 1961 quando un quindicenne britannico, un appassionato di H.P. Lovecraft, inviava le sue prime storie basate sui “Miti di Cthulhu” ad August Derleth, editore della Arkham House, chiedendogli un parere. L’accoglienza fu decisamente incoraggiante, anche se densa di critiche; tanto per cominciare, con l’invito a spostare l’ambientazione in luoghi meglio e più direttamente conosciuti, piuttosto che in uno stereotipato Massachusetts pseudo-lovecraftiano, creando in Inghilterra i propri realistici sfondi. E ancora: riscrivere, revisionare, rivedere e riprovarci ancora…

Il quindicenne era ovviamente J. Ramsey Cambell e solo tre anni dopo, nel 1964, l’Arkam House pubblicava il suo libro d’esordio The Inhabitant of the Lake and Less Welcome Tenants. Poco più tardi lo scrittore di Liverpool avrebbe “rinnegato”, per comprensibile reazione, una così ingombrate influenza lovecraftiana, trovando in breve tempo una voce e una via del tutto proprie e personali al weird horror, divenendone a tutt'oggi uno degli autori più autorevoli e influenti.

Trasformatasi nel corso di quasi mezzo secolo in un pregiato e costoso pezzo da collezionismo, la raccolta d’esordio di Campbell ritorna a ottobre in una nuova edizione pubblicata nel Regno Unito da PS Publishing, The Inhabitant of the Lake & Other Unwelcome Tenants, ripristinando quello che avrebbe dovuto essere il titolo in origine.

Illustrato da Randy Broecker, che ne firma la copertina, il volume ripropone l’intero contenuto originale, introduzione compresa, aggiungendovi le prime stesure dei dieci racconti – “The Room in the Castle”, “The Horror from the Bridge”, “The Insects from Shaggai”, “The Render of the Veils”, “The Inhabitant of the Lake”, “The Plain of Sound”, “The Return of the Witch”, “The Mine on Yuggoth”, “The Will of Stanley Brooke” e “The Moon-Lens” – accompagnate dalle reazioni critiche di Derleth su ogni storia.

All’edizione commerciale a copertina rigida si affianca una tiratura limitata di 100 copie autografate, disponibili al prezzo di £39.99. Tutte le informazioni presso le pagine dedicate sul sito web della PS Publishing.

The Inhabitant of the Lake & Other Unwelcome Tenants
Ramsey Campbell
PS Publishing, 2011
copertina rigida, illustrazioni in bianco e nero, £19.99
ISBN 9781848632004

Andrea Bonazzi

giovedì 22 settembre 2011

Lovecraft Annual No. 5

Lovecraft Annual No. 5, 2011, copertinaQuinto appuntamento annuale con i consueti volumetti di studio su Howard Phillips Lovecraft curati da S.T. Joshi per l’americana Hippocampus Press, Lovecraft Annual No. 5 esce puntuale a presentare anche nel 2011 interventi, saggi specialistici e approfondimenti d’interesse a partire dal discorso tenuto allo H.P. Lovecraft Film Festival dell’anno scorso, a Portland, con il quale Caitlín R. Kiernan illustrava il suo rapporto con l’opera del gentiluomo di Providence.

E ancora, scritti monografici dedicati ai versi de “La casa” e “La città” o al racconto “Aria fredda”, le influenze classiche romane e greche, il tema del “sublime” oppure quello onnipresente dei tentacoli nel vasto immaginario lovecraftiano, e altro ancora oltre alle notizie e comunicazioni delle “Briefly Noted”, le annotazioni in breve sparse fra un titolo e l’altro di saggistica.

Informazioni sulle pagine di www.hippocampuspress.com. Ed ecco l’indice al completo del volume:

Locked Dimensions out of Reach: The Lost Stories of H. P. Lovecraft – J.-M. Rajala
Cosmic Maenads and the Music of Madness: Lovecraft’s Borrowings from the Greeks – John Salonia
Blacks, Boxers, and Lovecraft – Gavin Callaghan
On H. P. Lovecraft’s “The House” – J. D. Worthington
From Bodily Fear to Cosmic Horror (and Back Again): The Tentacle Monster from Primordial Chaos to Hello Cthulhu – T. S. Miller
Lovecraft and I – Caitlín R. Kiernan
Lovecraft and the Sublime: A Reinterpretation – Alex Houstoun
Lovecraft: A Gentleman without Five Senses – Roland Hölzing
Endless Bacchanal: Rome, Livy, and Lovecraft’s Cthulhu Cult – Dennis Quinn
“Cool Air,” the Apartment Above Us, and Other Stories – Robert H. Waugh
Lovecraft’s “The City” – R. Boerem


Lovecraft Annual No. 5
a cura di S. T. Joshi
Hippocampus Press, 2011
brossura, 246 pagine, $15.00
ISBN 9781614980100

Andrea Bonazzi

lunedì 19 settembre 2011

I capolavori de “I racconti di Dracula”: Frank Graegorius e Morton Sidney

Marchio editoriale de 'I racconti di  Dracula'Mentre si appressano le prime ombre dell’autunno, la Dagon Press riapre le sue cripte e, dalle ombre, sortiscono voci inquietanti che sussurrano nel vento notturno macabre novelle e storie obliate di tenebra e di morte: sono I racconti di Dracula, e si inseriscono in una nuova collana narrativa che recupera dal passato i migliori romanzi horror e weird scritti da autori italiani, opere ignote, sepolte e dimenticate ma pregne nell’humus stesso di cui sono fatti i sogni, pagine infestate che ritornano per stregare una nuova generazione di lettori…

I racconti di Dracula è stata una storica collana pubblicata dal 1959 al 1981 dalla Editrice ERP (poi Wamp) del barone Antonino Cantarella. Paragonata alla mitica Weird Tales, questa serie era il frutto di un gruppo di autori eccezionali e di circostanze favorevoli che portarono alla nascita di un genere di narrativa a formula, dando linfa alla moderna letteratura fantastica e del terrore di marchio italiano. In questa mitica serie apparvero numerosi capolavori del genere nero e soprannaturale di scrittori italiani, nascosti tutti, come usava all’epoca, sotto pseudonimi anglofoni o tedeschi. Per molti anni si continuò a credere che i libri della collana I racconti di Dracula fossero traduzioni di autori stranieri, nei crediti del libro compariva infatti un titolo in inglese o in tedesco e il relativo traduttore. Il trucco durò decenni fino a quando non si è scoperto che non si trattava di autori stranieri tradotti, ma di autori nostrani che scrivevano sotto pseudonimo. E per anni il loro vero nome era comparso nel libro: come traduttori!

I romanzi di questi scrittori dimenticati sono diventati oggi dei veri classici, e i loro autori degni di stare nell’Olimpo con i più alti nomi della narrativa di genere, i vari Algernon Blackwood, William Hope Hodgson, Jean Ray, e tutti gli altri che hanno fatto la storia e la fortuna dell’orrore letterario.

È con immenso piacere e anche una punta di orgoglio, quindi, che noi della Dagon Press, togliendo la patina di ragnatele a quelle vecchie riviste ingiallite (primo, e forse unico esempio di pulp di produzione italiana!) presentiamo i primi due volumi della serie I capolavori de “I racconti di Dracula”, la collana di omnibus destinata a rinverdire i fasti di quella straordinaria fucina del terrifico, e di un periodo che – per molti sarà una sorpresa scoprirlo – vide anche da noi una fiorente produzione fantastica e una schiera di validi autori cimentarsi con streghe e stregoni, vampiri e diavoli, mostri e licantropi, alieni, golem e tutta una serie di altre creatures della letteratura orrorifica e nera.

I capolavori de “I racconti di Dracula” presenta, in edizioni ragionate e con i testi rivisti e corretti, le migliori novelle pubblicate nella vecchia collana. Il tutto sotto la supervisione e la cura di Sergio Bissoli, esperto che a questa serie ha dedicato oltre quarant’anni di appassionate ricerche, riuscendo a raccogliere e a catalogare il materiale rarissimo sugli scrittori, le opere, i disegnatori, le curiosità, i titoli, le trame, eccetera.

Ogni libro raccoglie tre romanzi-capolavori degli scrittori cardine della serie, con introduzioni, biografie, e riproduzioni di copertine originali. I primi due titoli usciti li presentiamo qui sotto:

I capolavori de “I racconti di  Dracula” Vol. I: Frank Graegorius, 2011I capolavori de “I racconti di Dracula”
I classici dell’orrore nero italiano
Volume primo: Frank Graegorius
Edizioni Dagon Press
pp. 328, Euro 19,00

Frank Graegorius era lo pseudonimo con cui il dott. Libero Samale (1914-1985), medico psichiatra di Roma, firmava i suoi romanzi dell’horror e del soprannaturale, molti dei quali usciti nella vecchia e oggi mitica collana de I Racconti di Dracula dell’Editrice ERP. Autore di circa 100 romanzi di genere nero, studioso di esoterismo e magia, Graegorius ha trasfuso le sue conoscenze nelle sue opere, e da uomo dotato di grande sensibilità ha creato capolavori di rara atmosfera, di sconvolgente bellezza e profondo mistero. Uomo eccezionalmente colto, dotato di una sensibilità quasi medianica, possedeva una biblioteca comprendente 6.000 libri di Occultismo e Scienze Psichiche; era inoltre un collezionista di rarissimi grimoires (libri di magia medievale) che reperiva nei vari paesi del mondo. Nei suoi innumerevoli viaggi, dalla Scozia alla Boemia, dalla Germania alla Transilvania, Frank Graegorius ebbe modo di raccogliere numerose leggende, annotandosi nei suoi taccuini cronache di avvenimenti misteriosi e terribili, fatti inquietanti e superstizioni legate alle tradizioni popolari dei paesi che visitava. Visse molte esperienze insolite, a volte piacevoli, a volte terribili e pericolose, e strinse amicizia con personaggi enigmatici: medium, veggenti, occultisti, fattucchiere, sciamani, zigani, stregoni… Fu profondo conoscitore, dunque, sia delle psiche umana che di concetti esoterici. E tracce e intuizioni di questi studi sono disseminati, avvertibili e rintracciabili nei suoi libri.

In questo primo volume sono “riesumati” (è il caso di dirlo) tre suoi capolavori che, grazie alle infaticabili ricerche dello studioso e collezionista Sergio Bissoli, vengono ora di nuovo alla luce, dopo quasi mezzo secolo. Un po’ come i vampiri che popolano le sue pagine, fatte di tenebra e di mistero ma anche di rara e squisita bellezza. Un autore da riscoprire e un libro (già cult per gli appassionati del genere) che non può mancare nella biblioteca del collezionista di libri a soggetto.

Indice del volume:
I sussurri delle streghe
Sudario nuziale
Il castello delle rose nere
Appendice: Frank Graegorius, il pioniere della letteratura horror italiana.



I capolavori de “I racconti di  Dracula” Vol. II: Morton Sidney, 2011I capolavori de “I racconti di Dracula”
I classici dell’orrore nero italiano
Volume secondo: Morton Sidney
Edizioni Dagon Press
pp. 304, Euro 19,00

Morton Sidney era lo pseudonimo di Franco Prattico (nato a Napoli, nel 1929) che così firmava i suoi romanzi horror e thriller. Ha scritto anche gialli e fantascienza, e altri pseudonimi da lui usati sono Donovan Rick, Fred Gable, e Danny Revack. Oltre ai tre romanzi che qui presentiamo, i suoi capolavori del genere sono La stirpe maledetta, Gli uomini pipistrello e Il tempio dell’orrore. Grande e dotato scrittore del brivido, i suoi racconti del soprannaturale sono percorsi da una vena romantica. Nelle sue storie paurose leggende si animano nei tetri castelli, antiche maledizioni dalla polvere dei secoli arrivano fino a noi portando il terrore…

Indice del volume:
La caccia del diavolo
L’uomo che non poteva morire
La prigioniera di roccia
Appendice: “Io e i Racconti di Dracula”, di Sergio Bissoli


I libri della Dagon Press sono stampati in edizione amatoriale e limitata, e disponibile quindi fino a esaurimento delle copie. Per informazioni e richieste vi rimandiamo al sito web ufficiale di Studi Lovecraftiani/Dagon Press e all’indirizzo mail: studilovecraft@yahoo.it.

Pietro Guarriello

sabato 17 settembre 2011

Un Oscuro Scrutare. In a Glass Darkly di Joseph Sheridan Le Fanu

Un Oscuro Scrutare. In a Glass Darkly, 2011, copertinaPer quanto nota e citata anche nel nostro paese, forse più appassionato alle storie di vampiri che non a quelle di spettri e d’altre inquietudini gotiche e soprannaturali, la principale raccolta narrativa dell’irlandese Joseph Sheridan Le Fanu (1814-1873) non era mai stata proposta integralmente al pubblico italiano. A farlo oggi ci pensa l’editore Miraviglia con l’uscita di Un Oscuro Scrutare. In a Glass Darkly, un volume a cura di Luca Manini per la traduzione di Fabrizio Ferretti.

Pubblicata un anno prima della morte dell’autore, in triplice volume nel 1872 con un suggestivo titolo a citare la biblica Prima Lettera ai Corinzi (13:1: “Poiché ora vediamo come in uno specchio, oscuramente”), la raccolta comprende cinque racconti e novelle fra le opere più rappresentative di Le Fanu: “Tè verde” (“Green Tea”, 1869), “Il Demone d’ogni giorno” (“The Familiar”, versione riveduta di “The Watcher” scritto nel 1851), “Il giudice Harbottle” (“Mr. Justice Harbottle”, revisione di “An Account of Some Strange Disturbances in Aungier Street” del 1853), “La stanza al Dragon Volant” (“The Room in the Dragon Volant”) e il celeberrimo romanzo breve “Carmilla”.

L’editore è in rete con il proprio sito ufficiale miravigliaeditore.it.

Un Oscuro Scrutare. In a Glass Darkly
Joseph Sheridan Le Fanu
collana Lo specchio opaco, Miraviglia Editore, 2011
brossura, 464 pagine, €17.50
ISBN 9788889993156

Andrea Bonazzi

giovedì 15 settembre 2011

Justin Hillgrove: Lovecraft e Poe nell’omaggio dell’illustratore americano

'The Call of Cthulhu: I' by Justin Hillgrove
L'The Call of Cthulhu: II' by Justin Hillgrove
'H.P. Lovecraft' by Justin Hillgrove
'Sorrow for the Lost Lenore' by Justin Hillgrove
'The Usual Suspects' by Justin Hillgrove

Justin Hillgrove è un tipo pelato e pallido con gli occhiali da nerd. È cresciuto in un posto dal nome impronunciabile nello stato di Washington. Per sua stessa ammissione, pare abbia iniziato a dare sfogo alla sua creatività fin da quando aveva l’età per imbrattare un muro. Ha trascorso molti anni nel settore della progettazione poi, un bel giorno, ha deciso di ritirarsi e ha iniziato a trascorrere le sue giornate dipingendo mostri, robot e altre “cose senza senso”, ammette candidamente il nostro.

Negli ultimi quindici anni Justin ha lavorato su tutto, dai libri alle riviste di giochi di carte collezionabili e giocattoli. Molte delle sue opere pare si trovino in diverse gallerie negli Stati Uniti. Attualmente vive a Washington con la moglie, i quattro figli e i suoi amici immaginari.

Tra questi figurano anche H.P. Lovecraft che telefona a Chtulhu, Edgar Allan Poe che offre il “cuore rivelatore” al corvo, ma anche lo stesso Poe con Jack the Ripper, Sweeney Todd e Alex the Droog, schedati insieme come “soliti sospetti” e tutti figuranti in una delle sue ultime mostre tenute per la galleria Mineral di Tacoma, intitolata Black and White And Read All Over. Va da sé che la dominante coloristica sia data da nero, bianco e rosso. Il tratto è volutamente nitido. L’ironia, propria di Hillgrove, si fonde alla poetica del gotico in una maniera impercettibile. Tuttavia, a un osservatore attento i suoi mostriciattoli non possono non richiamare alla mente le “creature nella testa” di Andrew Bell, del quale parleremo più avanti.

Gallerie: sito ufficiale Imps and Monsters: The Art of Justin Hillgrove; spazio personale in MySpace; pagina su Facebook.

Tatiana Martino

martedì 13 settembre 2011

Lovecraft: Le dernier puritain

Lovecraft: Le dernier puritain, 2011, copertinaAncora saggistica su H.P. Lovecraft, ma questa volta dalla Francia con il breve studio Lovecraft: Le dernier puritain di Cédric Monget appena pubblicato da La Clef d’Argent, piccola editrice d’Oltralpe da un quarto di secolo specializza nel fantastico.

Lo scrittore del Rhode Island in esame come “l’ultimo puritano”, dunque, ancorato alla propria ideale e tutto sommato rigida cultura e ancestrale tradizione, eppure un “puritano ateo” nel suo rifiuto delle religioni e dell’irrazionale in favore della ragione e del pensiero scientifico.

“Lo scrittore americano Howard Phillips Lovecraft (1890-1937) è conosciuto soprattutto per la propria originale mitologia e la sua teratologia strabordante. Ma, paradossalmente, entrambe le cose trovano nell’ateismo il loro fondamento. Un ateismo – spiega Lovecraft nei suoi saggi e nella sua corrispondenza – fondato su di un materialismo rigoroso. Come spiegare, in questo caso, che un autore così radicalmente materialista possa aver creato un complesso d’opera in cui l’immaginazione fantastica gareggia con l’onirico? Dovremmo vedere nel suo conservatorismo la causa di un rapporto ambiguo con la religione dei suoi padri? Senza dubbio l’avrebbe spiegato, nei propri termini, attraverso una sorta di ibrido fra il passato e il futuro – arcaico nei gusti personali, nelle sue emozioni e gli interessi, ma in un tale realismo scientifico da non poter essere che ateo...”

Prosegue la presentazione editoriale: “A queste domande, Cedric Monget cerca di fornire risposte che, pur essendo quelle di un appassionato, non nascondono alcuna ambiguità del maestro di Providence, gettando nuova luce fra le ombre di un pensiero ricco e complesso”.

scarica l'anteprima PDF, iconaIn copertina una splendida illustrazione originale di François Launet, in arte Goomi. Informazioni e acquisti presso la pagina web de La Clef d’Argent, da cui è possibile scaricare l’introduzione del saggio in formato PDF (41k).

Lovecraft: Le dernier puritain
Cédric Monget
collection KhThOn, La Clef d’Argent, 2011
brossura, 84 pagine, €10.00.
ISBN 9782908254921

Andrea Bonazzi

domenica 11 settembre 2011

Kizuna: Fiction for Japan, in volume l’antologia benefica internazionale

Kizuna: Fiction for Japan, 2011, copertinaDa qualche tempo disponibile nei più diffusi formati digitali, ora è finalmente in uscita anche in volume l’antologia internazionale Kizuna: Fiction for Japan promossa e curata da Brent Millis a scopo di beneficenza in favore di Smile Kids Japan, un’organizzazione non profit che si occupa degli orfani nei distretti di Iwate, Fukushima e Miyagi colpite dal terremoto e lo tsunami dello scorso marzo.

Settantacinque racconti in massima parte originali, scritti per l’occasione da altrettanti scrittori di undici diversi paesi del mondo, sono riuniti in lingua inglese per la più lodevole delle iniziative in un volume multi genere che mette insieme storie di “horror, humor, human drama, science fiction, fantasy, absurdist, bizarro, weird, new wave, bugpunk, Cthulhu, Sherlock Holmes, historical fiction, «I» stories, crime” e molto altro.

Tra i molti e prestigiosi autori coinvolti, da Michael Moorcock a John Shirley fino alle “vecchie conoscenze lovecraftiane” Robert M. Price, Ken Asamatsu e Joseph S. Pulver, l’Italia è rappresentata nel libro da Vittorio Catani, Danilo Arona, Massimo Soumaré, Davide Mana e Fulvio Gatti.

Di Christian Krank l’illustrazione in copertina. Dettagli e informazioni per l’acquisto in ebook presso il sito ufficiale di Kizuna: Fiction for Japan, o sulla relativa pagina web di Createspace per l’edizione cartacea, disponibile a breve anche su Amazon. Qui a seguito il notevole sommario con tutti i contributi del volume.

From Tokyo – Katherine Govier
Downtown Pharmacy – Ken Asamatsu
E-mail to Mother – Lee Pletzers
Small Ocean After Solar – Joseph S. Pulver, Sr.
A Cure for the World – S.A. Gambino
100 Fingers and the Tree – Michael Allen Rose
Ploughman – Nickolas Furr
Orpheus in the Underwear – Garrett Cook
Pocket – Touya Tachihara
The Norwegian Makes Lemonade – Jess Gulbranson
Breakwater – Alvin Pang
HO(locaust) Scale – Robert M. Price
Inconceivable – Kevin Lovelace
Memories of Ken – Junichi Ashikawa
Kamiya Bar – Dan Ryan
Whispers – Adam Joffrain
Jackie Ω Has Gone Too Far – Moxie Mezcal
Throat Wad – Andersen Prunty
The Push of Man – L. Christopher Bird
The Old Man and Honey – Minoru Inaba
Sharan Gali – Richard Wright
Island Swarm – Kirk Marshall
Kopy Cats – Davide Mana
Why Wear Red? – Show Tomono
Thrones & Powers – Jon Courtenay Grimwood
Yara-ma-yha-who – Christene Britton-Jones
Billie_Goat_Gruff_2056 – Philip Overby
Cherry Guard – Yuusuke Tokita
Eternal Case of the Mondays – David Agranoff
The Game – Bradley Sands
Initiation – Naohiko Kitahara
The Ice-Flock Storks of Sørøya – Michael John Grist
Pepperroch – Edmund Colell
Nothingness Dust – Trent Zelazny
Five short Twitter novels – Riri Shimada
Conservation Hero Blues – Made in DNA
Dissolution – Glynn Barrass
Dead and Breakfast – Fulvio Gatti
Quelling the Troll – Nirnara
Plum Blossom – Melissa J White
The Flower – Fumihiko Iino
A Tale of Smoke and Ash – Curt Seubert
Back Beyond The Hedgerow – Elizabeth Black
Sherlock Holmes and the Case of the Giant Rat of Sumatra – John F. Rice
A Summer’s Melody – Hiroshi Yamamoto
Humanitas Ex – Volker Baetz
Tarma’s Song – Andrew Freudenberg
The Power of Perspective – Terrie Czechowski
Legends – Lucía González Lavado
If Only Flowers – Mie Takase
Dial Tone – Stephen A. North
The Starlet and the Fishman – Ran Cartwright
Recollections – Ukyou Kodachi
The Loft in the Sky – Danilo Arona
Last Embrace – David Naughton-Shires
The Girl with Eyes in the Back of Her Head – John Shirley
Heart of an Angel – Jonathan Moon
The Music Box – Tadashi Ohta
Not Alone in the Dark – Richard Salter
Natsumi’s Diary – Midori Tateyama
Sweet Hearts – Grant Wamack
Appointment at the Oji Inari Shrine – Massimo Soumaré
The Story without a Key – Yufuko Senoh
The Feast of the Fly – Berry Sizemore
A Second Metamorphosis – Ash Lomen
Homecoming – Adam Breckenridge
Mom, Dad and Hiro – Yasumi Kobayashi
The Bubbling Road of Self-Loathing – Jason Wuchenich
That Day… – Ryuto Hijiri
The Dream-colored Morning – Vittorio Catani
The End of the Royal Palace and the Kingdom – Joji Hayashi
The X-ray – Kevin David Anderson
The Mermaid Princess’ Love, Curse and… – Tamao Kanroji
Walking the Hog – Michael Moorcock
That Long Day – Shinya Gaku


Kizuna: Fiction for Japan
a cura di Brent Millis
Createspace, 2011
brossura, 228 pagine, $15.99
ISBN 9781466223172

Tatiana Martino

venerdì 9 settembre 2011

Marjorie Bowen, Magia nera e gotico vittoriano

Magia nera, 2011, copertinaTorna in auge il romanticismo gotico tardo vittoriano? Dopo il Vendetta! della Corelli, da Gargoyle Books arriva un’altra “riscoperta” finora inedita in Italia dal tardo gothic romance inglese al femminile tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento, con il romanzo Magia nera di Marjorie Bowen (Black Magic: A Tale of the Rise and Fall of the Antichrist, 1909), per la traduzione e cura di Bernardo Cicchetti.

“Nell’oscuro periodo della caccia alle streghe, Dirk Renswoude, un misterioso giovane che vive in un monastero ad Anversa dove studia e pratica in segreto magia nera, un giorno riceve una visita inaspettata che gli cambierà’ la vita. L’incontro con Thierry, e la scoperta di avere in comune con lui tendenze malefiche e sete di dominio, lo portano ad abbandonare la sua dimora per approfondire gli studi proibiti in grandi università come Basilea e Francoforte. I due studenti vivono in simbiosi e si esercitano con più o meno successo nelle arti magiche fino a lambire le più alte sfere del potere. Tuttavia, a causa di innumerevoli tentennamenti, tradimenti, ricatti e intrighi di corte, i due occultisti si perdono di vista per dieci lunghi anni. Quando si ritroveranno niente sembrerà più come prima. Una serie di terribili colpi di scena rivelerà la malvagità e la verità sui personaggi più potenti della Chiesa e dell’Impero Romano d’Occidente”.

Della signora Gabrielle Margaret Vere Long Campbell, questo il vero nome della scrittrice britannica nata nel 1885 e scomparsa nel 1952, sono conosciute in italiano solo una manciata delle sue migliori ghost stories antologizzate. Autrice fin dall’età di 16 anni di una cospicua serie di racconti e romanzi storici, a carattere fantastico e d’intreccio criminale, la Bowen eccelse – con la narrativa breve in special modo – nel coniugare gotico soprannaturale e sentimento, senza tuttavia eccessi di sentimentalismo e in una maniera forse affine a quella dei romantici tedeschi.

scarica l'anteprima PDF, iconaIl volume si apre con una lunga e approfondita prefazione di Fabrizio Foni, esperto del fantastico letterario e ricercatore presso l'Università di Liegi. Attraverso la pagina ufficiale web della Gargoyle è disponibile diverso materiale d’interesse in aggiunta alle consuete informazioni editoriali, con la possibilità di scaricare il capitolo iniziale del romanzo in formato PDF (82,5k).

Magia nera
Marjorie Bowen
collana Storie, Gargoyle Books, 2011
brossura, 312 pagine, €14.50
ISBN 9788889541586

Tatiana Martino

mercoledì 7 settembre 2011

Creatures: 30 anni di mostri in una sola antologia

Creatures: Thirty Years of Monsters, 2011, copertinaArriva dagli Stati Uniti per la Prime Books la nuova antologia Creatures: Thirty Years of Monsters, curata da John Langan e Paul Tremblay con l’intento di raccogliere le migliori storie brevi di mostri degli ultimi trent’anni.

“Tema delle più ataviche narrazioni come del più recente immaginario, dagli antichi corridoi di pietra del labirinto di Cnosso ai graffitati vicoli delle odierne metropoli, i mostri continuano a seguirci nell’ombra. Dall’oscurità delle foreste, dagli spazi angusti dei nostri stessi armadi, queste creature restano in agguato fra gli incubi di sempre. Sotto ai nostri letti, o appena al di là dello specchio, sono loro i nostri più autentici compagni”.

I racconti, ventisei titoli fra cui tre novità appositamente scritte per questo volume, sono scelti fra i più rappresentativi mostri narrativi degli ultimi tre decenni attraverso classici moderni e firme horror meno conosciute, da Clive Barker, Robert McCammon, China Miéville e Joe R. Lansdale fino a Sarah Langan e Laird Barron.

Informazioni presso il sito web dell’editore, qui a seguito l’indice completo dei racconti.

It Came and We Knew It:
Godzilla’s Twelve-Step Program – Joe R. Lansdale
The Creature from the Black Lagoon – Jim Shepard
After Moreau – Jeffrey Ford
Among Their Bright Eyes – Alaya Dawn Johnson
Under Cover of Night – Christopher Golden
The Kraken – Michael Kelly
Underneath Me, Steady Air – Carrie Laben
It Came We Could Not Stop It:
Rawhead Rex – Clive Barker
Wishbones – Cherie Priest
The Hollow Man – Norm Partridge
Not from Around Here – David J. Schow
The Ropy Thing – Al Sarrantonio
The Third Bear – Jeff Vandermeer
It Came For Us:
Monster – Kelly Link
Keep Calm and Carillon – Genevieve Valentine
The Deep End – Robert R. McCammon
The Serpent and the Hatchet Gang – F. Brett Cox
Blood Makes Noise – Gemma Files
The Machine Is Perfect, the Engineer Is Nobody – Brett Alexander Savory
Proboscis – Laird Barron
It Came From Us:
Familiar – China Miéville
Replacements – Lisa Tuttle
Little Monsters – Stephen Graham Jones
The Changeling – Sarah Langan
The Monsters of Heaven – Nathan Ballingrud
Absolute Zero – Nadia Bulkin


Creatures: Thirty Years of Monsters
a cura di John Langan e Paul Tremblay
Prime Books, 2011
brossura, 384 pagine, $14.95
ISBN 9781607012849

Andrea Bonazzi

lunedì 5 settembre 2011

Edward Lucas White e il sogno della Storia

Edward Lucas White, fotoPer scrittori come Edward Lucas White (1866-1934) andrebbe tracciata una cronistoria che affonda le sue radici nella più remota antichità. Personaggio originalissimo, White appartenne alla nobile ed elitaria stirpe degli scrittori “onirici”, il cui capostipite in età moderna fu senz’altro l’irlandese Lord Dunsany. Autori che trassero l’interezza (o quasi) della loro opera da sogni, autori che vissero per tutta la vita in due mondi.

Il rapporto che l’Antichità intessé con il mondo onirico (Regno di Morfeo, fratello della Morte) fu lungo e prolifico. Nella Magna Grecia, i sacerdoti di Apollo scavarono caverne e ipogei, dove i fedeli si addormentavano cercando la saggezza nei sogni rivelatori inviati dal Dio, conosciuto sotto l’appellativo di “Pholarchos” ovvero signore (“Archos”) del rifugio (“Pholèos”), dove gli adoratori si nascondevano come animali, inseguendo il sonno sacro. Alla Pizia di Delfi occorreva una notte di sonno dopo aver inalato i fumi sacri per ottenere il responso profetico, e il suo era un vero e proprio viaggio, non dissimile da quelli effettuati dagli sciamani uralo-altaici; ma la cosa non deve né stupire né risultare macchinosa. La credenza diffusa era che i sogni realmente profetici fossero tali in quanto l’onironauta, che in Magna Grecia veniva chiamato “Iatromante”, doveva visitare lo stesso regno dei morti, pertanto, come rileva lo studioso Peter Kingsley è ben vero che “Scendere nel regno dei morti quando si muore è una cosa, farlo quando si è ancora in vita, preparati e consapevoli, e giovarsi dell’esperienza è tutt’altra”.

Per farlo ci volevano dei “professionisti”, persone capaci di passare da un mondo all’altro senza morire, sciamani, profeti, “Iatromanti”. Siamo ancora convinti, da bravi figli di Cartesio, che la Civiltà occidentale sia frutto della razionalità, ma alcuni ritrovamenti archeologici avvenuti in data recente gettano una luce tutt’altro che “razionale” sulla Grecia arcaica, “culla” della nostra cultura umanistica e scientifica. Il presocratico Parmenide, citato da Platone e da lui considerato “Padre” della filosofia, ci ha lasciato un solo poema incompleto il cui incipit si apre su di un viaggio effettuato dal filosofo aldilà delle porte del giorno e della notte nella casa vicina all’ingresso del Tartaro, la cui signora e Dea ha nome Persefone, colei che lo ha condotto “sulla strada della divinità”. Parmenide è stato il fondatore di quello sfaccettato e variegato concetto che in Occidente prende il nome di “Scienza”, ma la sua saggezza affondava nei sogni e nelle visioni. Il mondo romano non fu da meno di quello greco nel riconoscere i rapporti intercorrenti fra sonno, visione e “guarigione” divina, quando necessaria.

Tanto è vero che l’ipocondriaco retore romano Elio Aristide (IV sec. A.C.), narrò con dovizia di particolari le sue vicissitudini e tribolazioni da Roma al Santuario di Delfi, allo scopo di implorare dal Dio il sogno profetico che lo avrebbe liberato dai suoi malesseri di ordine psicologico (Aristide fu forse il primo schizofrenico in letteratura che annoveri la storia occidentale). Per quanto invece riguarda Apuleio, le Rivelazioni avute in sogno, nel suo bellissimo romanzo Le Metamorfosi, o l’asino d’oro, non si contano. Il Dio Eros si manifesta in sogno alla bella Psiche per unirsi a lei mentre Lucio, il protagonista, viene tramutato in asino al termine di un rito magico che ha sapore di incubo, per poi venire liberato da un altro sogno inviato da Iside, Dea notturna e lunare. Il messaggio antico era sempre lo stesso, il sogno è collegato alla sfera del sacro, gli Dèi inviano i sogni. Questo corpus di credenze o di verità (è ben lecito credere che la verità si componga di molteplici e vari aspetti, discordanti forse, ma non per questo meno “veri”), si è sempre riaffermato attraverso i secoli e le ere.

La Rivoluzione francese, enciclopedica, razionale e didascalica, dette la stura al Romanticismo tedesco, fatto di paesaggi onirici, incubi medievali e ominose profezie, mentre l’Industrializzazione dell’Inghilterra colonialista e banchiera produsse, di riflesso, narratori onirici del calibro di Lord Dunsany. Ma mentre quest’ultimo fu estremamente prossimo alle cosmogonie di un Parmenide di Elea, soprattutto con il suo ciclo The Gods of Pegana, Edward Lucas White fu piuttosto vicino alle ansie di Elio Aristide. Si sa che ogni scrittore “onirico” sceglie (o viene scelto) da un suo predecessore, il quale, spesso, agisce sulla sua opera come un vero e proprio “Nume tutelare”. H.P. Lovecraft rimase segnato dall’opera di Dunsany, Elio Aristide concentrò la sua ossessione su Asclepio, dio dei sogni e della medicina, mentre White cadde sotto l’egida di Edgar Allan Poe.

Ho citato Aristide non a sproposito, come vedremo, in quanto la natura della sua ossessione per la divinità era estremamente simile a quella che White nutrì per Poe. White restò ossessionato dal padre della letteratura gotica moderna, talmente tanto da essere costretto a disfarsi della sua opera – invano, vedremo – in quanto puntualmente “qualcosa” lo costringeva sempre a rileggerlo.

Lukundoo e altre storie, 2011, copertinaE oggi è concessa a noi l’occasione, forse unica più che rara, di rileggere White, o meglio di leggere (perché la sua opera è quasi totalmente inedita in italiano) le migliori fantasie oniriche dello scrittore, raccolte in una recente e bella raccolta pubblicata dalla Dagon Press in una preziosa edizione a tiratura limitata. Il libro, Lukundoo e Altre Storie, raccoglie tutte le migliori storie horror, fantastiche e “strane” di White, tradotte per la prima volta nel nostro paese a cura dello specialista Bernardo Cicchetti. Prenderemo quindi in esame questa edizione per analizzare il percorso artistico e onirico dello scrittore.

Dotato di un solido senso della struttura e della trama, Edward Lucas White seguì studi classici ed esercitò l’ufficio di professore di Lettere a Baltimora, non tralasciando di mettere le sue notevoli doti di scrittore al servizio di romanzi storici di indubbia validità. Come emerge dalla sua biografia, a parte i sogni due sono i fattori chiave per comprendere la narrativa gotica di White: il pessimismo e l’amore per il passato e le vittime della storia. Il pessimismo di White non assurse mai alle vette cosmogoniche del suo ammiratore Lovecraft, eppure fu vissuto con altrettanta serietà, con consequenzialità stoica, diremmo quasi alla Seneca. White amò una sola donna per tutta la vita, sua moglie, e fu incapace di sopravvivere alla perdita, ma potremmo quasi dire che, per una personalità rarefatta e sibillina come la sua, ciò costituì null’altro se non un pretesto, benchè importante. L’altro, l’amore per il passato, fu una conseguenza ineluttabile del primo.

David Punter (cfr. la sua Storia della Letteratura del Terrore) segnalò già che caratteristica imprescindibile del gotico è “l’amore per il barbarico”, l’attenzione morbosa per gli aspetti più selvaggi, crudeli ed esotici del mondo, componente letteraria che è poi uno specchio attraverso il quale l’uomo dell’Occidente civilizzato guarda il mondo e lo re-interpreta secondo le proprie categorie, componente che è presente in larga parte in White, ma alla quale egli aggiunge un’ossessione tutta sua, che nessun altro scrittore fantastico trattò meglio di lui se non forse Robert E. Howard: l’ossessione per il “Leader”, il “capo naturale”, l’uomo che ricerca il potere e la gloria e inevitabilmente (fatalmente) ne rimane schiacciato.

“Lukundoo”, il suo racconto più “quotato” e antologizzato, ruota tutto intorno a questo fattore. White insiste lungamente sulle qualità di leader di Ralph Stone, sul suo successo nella vita, le sue prodigiose intuizioni, la soggezione che egli esercita grazie al suo carisma, doti soprannaturali, qualità eccezionali che, se intese nel senso della “Hybris” greca (il passare il limite consentito agli uomini per entrare nella proibita sfera degli Dèi) giustificano ampiamente la terribile, agghiacciante punizione. Stone ha sfidato un possente sciamano, appartenente a una tribù africana semisconosciuta, e ne pagherà tutte le conseguenze.

È stato detto che “Lukundoo” è il racconto di White più riuscito, il più “impattante” a livello di scrittura, ma bisognerebbe leggere accuratamente anche gli altri prima di prodursi in giudizi definitivi. Il racconto intitolato “Il Muso” (“The Snout”) è scritto con una tecnica ironica e nebulosa, che ricorda il Poe di “Re Peste”, in quanto tutto il racconto (un lungo e particolareggiato incubo) si può leggere tranquillamente come un’allegoria visionaria del Potere. Un gruppo di ladri riesce a introdursi nella fantastica abitazione di un eccentrico e ricchissimo personaggio per trovarvi… L’Orrore.

Lukundoo and Other Stories, Doran (New York), 1927L’intera abitazione è disseminata di opere d’arte eseguite dal proprietario, opere d’arte che suggeriscono orribili commistioni fra l’umano e il bestiale: “… Erano figure umane, ma nessuna aveva una testa umana. Le teste erano invariabilmente quelle di uccelli, di animali o pesci, generalmente di animali, alcune di animali comuni, molti di creature delle quali avevo visto illustrazioni o sentito parlare; alcuni erano creature immaginarie come draghi e grifoni, più della metà delle teste appartenevano ad animali di cui non sapevo nulla o che erano stati inventati dal pittore”.

All’inizio i ladri colgono solo descrizioni nebulose da parte della servitù riguardo le abitudini di questo bizzarro personaggio, che dipinge come un Fuchs o un Beksinski, fatto che contribuisce ad aumentare la grottesca aura di mistero che permea la storia: “Di lunghi sussurri inaudibili ho colto solo frammenti”.

Una volta: “Oh non vuole nessuno vicino a lui. Lo senti singhiozzare come un bambino. Quando sta peggio lo senti, di notte, ululare e strillare come un’anima persa”. E ancora: “La pelle liscia di un bimbo e non più pelosa della mia o della tua”. E ancora oltre: “Violino? Nessun violinista può batterlo. L’ho ascoltato per ore. Ti fa pensare ai tuoi peccati. Poi cambia e ricordi il tuo primo amore, e le piogge di primavera e i fiori, e quando eri bambino sulle ginocchia di tua madre. Ti strappa le lacrime dal cuore”.

L’esplorazione della casa da parte dei tre ladri segue passo passo il ritmo della fiaba nera; scale intrecciate con altre scale, porte che rimandano ad altre porte, robusti servitori incrociano la loro strada prima di essere brutalmente liquidati, servitori vestiti con uniformi di altri tempi, si ritrovano damigiane ripiene di strani liquidi, imbottigliate esclusivamente per il misterioso padrone… fino alla rivelazione finale, assurda come le premesse. Nonostante il tema macabro e bizzarro, il professore di storia antica fa capolino in più di una pagina. Vi è più di una ironica strizzata d’occhio ai bassi e feroci dominatori del passato (e forse del presente), da Cesare a Napoleone, da Gengis Khan ad Attila l’Unno, mentre nel bizzarro proprietario della casa occhieggiano già i semiumani pitti di R.E. Howard, mescolanza di ferinità barbarica e decadente civilizzazione.

Ma non è l’unico racconto che White dedica a questo tema. Ne “L’Isola Stregata” (“Sorcery Island”) lo stesso tema del leader pazzo o semiumano ricorre, lasciando immutata la rarefatta atmosfera di mistero, anche se stavolta l’infermità dell’antagonista è di tipo mentale più che fisico. In tutti questi racconti, l’ombra di E.A. Poe è pressoché tangibile, vi si ritrovano gli stessi emblematici personaggi di “The Fall of the House of Usher”, ma White sembra scomporli in giochi di prestigio, ricomporli in ambienti esotici, mescolarli con riflessioni sulla storia e sulla natura del potere, imbizzarrirli con elementi magici, soprannaturali, nebulosi come rivelazioni oniriche.

Il protagonista, nell’atto di sorvolare un arcipelago equatoriale, accusa un’avaria al biplano e atterra fortunosamente in un grosso isolotto. Scopre ben presto che questo isolotto è stato adibito, da un suo vecchio compagno di studi di nome Pembroke, a mò di “Rifugio” per una piccola ed estremamente selezionata cerchia di famosi musicisti e artisti americani ed Europei, artisti contrattati profumatamente dal bizzarro anfitrione allo scopo di trovare un ipotetico “suono perfetto”. L’ospite rimane stupito dalla modernità delle strutture dell’isola, ma si rende conto ben presto che il disegno di Pembroke è ben più agghiacciante di quanto sembri all’inizio, e che quel tipo di soggiorno è ben più “forzato” di quanto l’apparente, fredda ospitalità di Pembroke lasci intendere.

Allen Koszowski, illustrazione di copertina per Sesta and Other Strange Stories, 2001Occulte corrispondenze opprimono l’osservatore, incarnate nella figura di “mamma Bevan”, una anziana fattucchiera gallese che intesse intorno alle stralunato aviatore una rete fatta di cantilene magiche e cerchi tracciati nella sabbia, mentre un fastidioso branco di oche, che la strega porta sempre con sé, suscita nel protagonista sentimenti di furia irrazionale. La modernità si mescola alla magia nera medievale, la sofisticazione della civiltà e della ricchezza si sposa al soprannaturale in un connubio da incubo che dissemina inquietanti indizi, indizi che minacciano la psiche del protagonista, mentre Pembroke, taciturno e letale, occupa la sua nicchia fra gli eroi “naturali” del romanzo gotico, dal Frankenstein della Shelley al Melmoth di Maturin.

Inoltre, nell’Isola abitata da bizzarri personaggi sospesi in un tempo allegorico a metà fra la modernità e la superstizione ancestrale, l’appassionato riconoscerà la comunità di The Wicker Man, film inglese degli anni 70 dove il formidabile barone, interpretato da Christopher Lee, rivolge ben più di una strizzata d’occhio al sibillino Pembroke. Come nei sogni, White pare suggerire che esista un fiabesco connubio fra l’oca maschio, capobranco del chiassoso seguito di mamma Bevan e la vita stessa di Pembroke, connubio che il protagonista non esiterà a sfruttare a suo vantaggio, riguadagnando la propria libertà a bordo di un favoloso “biplano Visconti” fornito da un irato Pembroke, biplano di cui una benevola nota avverte: “Non si trovano tracce di un aeroplano del genere. Che sia una delle invenzioni oniriche di White?”

Il racconto “La Spada di Floki” (“Floki’s Blade”) pare una accurata e dotta ricostruzione di una saga nordica, piena di colpi di scena, azione e magia e sicuramente lo è, ma prima di tutto è una rielaborazione in chiave norrena del “Metzengerstein” di Poe. Vi si ritrovano tutti gli elementi chiave; due famiglie in lotta perpetua, una aggressiva e apparentemente trionfante e un’altra apparentemente più debole ma, alla fine, vittoriosa. L’attacco notturno per fuoco e per saccheggio permane in tutta la sua potenza, mentre l’elemento della vendetta soprannaturale, che in Poe è un cavallo, in White è rappresentato da una spada; manca solo la figura del signorotto brutale, che da White è rovesciata nel positivo Floki. La scena di battaglia finale, con conseguente smascheramento della traditrice è un puro e semplice colpo di scena alla Poe, ma viene amalgamato così bene alla materia da saga che quasi non si nota la differenza, altro saggio della maestria di White.

“La Cintura” (“The Pig-skin Belt”) è un racconto che avrebbe fatto sicuramente la felicità di R.E. Howard. Vi si narrano le laboriose vicissitudini di un tipico gentiluomo del sud nel liberarsi della maligna influenza di un potente mago cinese esperto di metamorfosi. Ovviamente tutta l’azione si svolge su suolo americano e vi si respirano le classiche atmosfere da provincia del sud, col suo razzismo velato e compiacente, i paesaggi bucolici, il tipico senso di cavalleria esercitato da gentiluomini che, a guerra civile ultimata, non pensano ad altro se non a consolidare le proprie fortune nonché impalmare qualche bella ragazza di buona famiglia. In tali ambienti è nata gran parte della buona narrativa “Horror” e “Weird” e questo racconto in particolare richiama bonariamente alla memoria più di qualche ottima narrazione del cinico Ambrose Bierce, con le sue storie di vendette soprannaturali condite con qualche battuta ironica sulla “varia umanità” di provincia. È uno dei pochi racconti in cui la figura del capo la scampa, non riservandosi però di trattare i suoi sottoposti di colore esattamente come Stone trattava i suoi portatori africani, nella più pura tradizione colonialista del sud.

Menzione a parte meritano i racconti puramente “sinistri” di White, riguardo ai quali occorrerà interrogare l’autore in prima persona: “La Casa dell’Incubo l’ho scritto proprio come l’ho sognato, parola per parola, dal momento che è stato proprio come se leggessi il racconto stampato, e come se tutto mi accadesse in tempi arcaici, quando le automobili avevano la guida a destra e la leva del cambio all’esterno della carrozzeria. Il sogno ebbe l’insolita peculiarità di farmi svegliare dopo il secondo incubo, così scosso che mia moglie dovette calmarmi e rassicurarmi come si fa con un bambino spaventato; poi tornai a dormire e terminai il sogno! E la sua conclusione mi giunse come una totale sorpresa, scioccante come il culmine di Il Muso o di Amina”. Sarà semplice comprendere che chiunque sogni cose come Il Puzzle, Il Messaggio sulla Lavagna o La Cintura debba farne dei racconti per potersene completamente liberare”.

E “La Casa dell’Incubo” è davvero qualcosa di cui uno scrittore dovrebbe liberarsi… se lo avesse sullo stomaco. Nella figura del misterioso ragazzo dal labbro leporino ci sono in potenza tutti i degenerati abitanti della provincia del New England di H.P.L., mentre l’orribile fantasma della scrofa mangiauomini è chiaro lascito degli incubi porcini di W.H. Hodgson. “Amina” è invece un’avventura alla Mille e una notte. C’è una spedizione nel deserto iraniano, il solito leader occidentale supercivilizzato ma imbevuto di superstizioni locali, conoscenza che usa per dominare gli autoctoni, ennesimo “Avatar” dello Stone di “Lukundoo”, il quale, come ebbe a dire China Miéville, è la più bella immagine del “senso di colpa colonialista” che sia mai stata rappresentata in letteratura fantastica.

Nel “popolo libero” dei Ghoul e degli Efreet del deserto fanno capolino le mostruose creature pre-celtiche di Arthur Machen, mentre la semiferina Amina che dà il titolo al racconto è una perfetta immagine dell’erotismo femminile “nero” e selvaggio, che stringe la mano sia ad “Alraune” di Hans Einz Ewers sia alla Helen Vaughan de “Il Gran Dio Pan”. Ne “Il Canto delle Sirene” (“The Song of the Sirens”) White si cimenta invece con il genere marinaresco rivelando l’erudizione e la cura che sono propri del neofita. La cura maniacale che dedica a tratteggiare le mansioni marinaresche di un bastimento americano, nonché la vividezza con la quale descrive i personaggi della ciurma, dal chiassoso marinaio Burke al semidemente capitano Benson, senza contare il misterioso Wilson, ricorda le indimenticabili narrazioni di Lord Dunsany, da “Un racconto di terra e di mare” a “Povero vecchio Bill”, mentre le sirene di White assomigliano alle deità con cui il suo collega oniromante irlandese popolò i suoi sogni, assolutamente originali, distaccate e lontane da qualsiasi immagine preconcetta le riguardi, terribili e implacabili nel loro mistero.

The Song of the Sirens, Dutton (New York), 1919, copertinaRacconti come “Disvola” e “La Pantera Maculata” appartengono invece al genere storico in cui White eccelleva, e sono state giustamente incluse nell’antologia non solo in quanto tutte frutto di sogni più o meno vividi ma anche in quanto il soprannaturale vi aleggia in maniera estremamente sottile. Nel secondo viene ricostruita con amore la vita civile nella Roma di Commodo e il “perturbante” viene incarnato da una bestia feroce che pare dotata di una vitalità inestinguibile e di una maligna intelligenza. Vi si riconoscono i temi della nostalgia e del riscatto sociale, ma più che altro dell’’insoddisfazione di vivere all’interno di un sistema politico sul perenne orlo del collasso (quello della Roma tardo-imperiale) incarnato nel desiderio di libertà perennemente frustrato della bestia che diviene ben presto cieca e brutale ferocia. Il primo, proveniente da un sogno “in lingua italiana” dell’autore, è invece una storia tutta rinascimentale di vendetta agghiacciante e definitiva, variazione palese, anche se originale, sul tema di “Hop Frog” di Edgar Allan Poe.

Menzione a parte meriterà il racconto “Sesta”, un incubo “vegetale” che è un’apparente variazione sul già citato tema de “L’Isola Stregata”. C’è una canaglia iniziale alla Jean Ray, campeggia ancora una volta la componente “coloniale”, con più di una strizzata d’occhio all’Allan Quatermain di H. Rider Haggard, ma tutto l’esotismo del racconto appare distorto e allucinante, come un dipinto eseguito a colori alieni, e la rivelazione dell’orrore finale lascia un sapore amarissimo in bocca, è come una scudisciata, un taglio netto con la sanità mentale che ha l’aspetto delle feroci rivelazioni offerte nei sogni e non ha nulla da invidiare agli orrori metamorfici di Hodgson e Lovecraft.

In definitiva il volume Lukundoo e Altre Storie di Edward Lucas White, ennesima e più che meritevole fatica dell’editrice Dagon Press, è un vero gioiello che merita di essere esibito nella biblioteca di qualsiasi appassionato del fantastico. Le ragioni del suo oramai essere considerato un autore “di nicchia” stanno forse nel suo “unpolitically-correct”. In White non esiste il termine “di colore”, ma “negro”, mentre i cinesi sono tutti servili, inquietanti e sfoggiano codini stile “yellow peril made in Sax Rohmer”, ma si dimentica sempre che è proprio da quell’humus razzista (razzismo che peraltro White non condivideva se non per esigenze letterarie dell’epoca) che nasce buona parte della migliore letteratura “nera”. L’orrore per il “diverso” che diventa terrore per l’ignoto, poi rimorso, poi “ossessione” per il rimorso.

Non va inoltre dimenticato che White era affascinato, come ogni scrittore del Fantastico, proprio da quell’esotico che giganteggia in ogni suo racconto e dalla componente di ancestralità che lo circonda. Da non ignorare inoltre, che, a dispetto della terminologia, il Nostro ha scritto alcune fra le più belle pagine sull’anticolonialismo mai scritte, con la sola eccezione di Conrad e di Kipling, di cui pure White fu acceso ammiratore.

Tradotto mirabilmente dallo stesso curatore Bernardo Cicchetti, il volume contiene tre fra le più importanti raccolte di racconti Weird di Edward Lucas White seguendone fedelmente le edizioni americane, constando rispettivamente in Lukundoo and Other Stories (1927), The Song of the Sirens (1919) e Sesta and Other Strange Stories (ed. americana del 2001). Il libro costituisce quindi una assoluta “ghiottoneria”, in quanto è l’unica traduzione italiana finora esistente, oltre che la più completa. Lo arricchiscono il saggio “Henry Lucas White: mercante di sogni” di Andrea Jarok, nonché una dotta postfazione di Cicchetti, e lo impreziosiscono illustrazioni di Williy Pogany, Jack Gaughan, Franklin Booth, Lee Brown Coye, Virgil Finlay, Sidney Sime, per citarne solo alcuni.

Mariano D’Anza

sabato 3 settembre 2011

Chiharu Shiota, neri filamenti d’irrealtà

Installation by Chiharu Shiota
Installation by Chiharu Shiota
Installation by Chiharu Shiota
Installation by Chiharu Shiota
Installation by Chiharu Shiota

Nata a Osaka nel 1972, l’artista giapponese Chiharu Shiota vive e lavora attualmente a Berlino. Presente anche all’ultima Biennale di Venezia, tra le sue installazioni colpiscono particolarmente le intricate, fitte estensioni di fili di lana nera fissati, intrecciati ed estesi con maniacale costanza a occupare – se non “consumare” – l’area degli interni, che siano quelli di delimitati spazi espositivi oppure, cosa più perturbante, appartamenti abbandonati e ambienti di vita quotidiana.

In tale particolare serie, a partire dal 1996, i filamenti neri sembrano espandersi minacciosamente in un fisico dominio dello spazio come organismi estranei, muffe in proliferazione ancora più che ragnatele. O meglio, come una nera irruzione d’irrealtà nel prosaico stato comune di esistenza, per dirla come ogni buon appassionato di weird fiction anche senza citare obbligatoriamente Lovecraft e Ligotti… o perfino l’oscuro meme web di Zalgo.

“Spettrale, spaventevole e sinistramente aggressiva, Chiharu Shiota tocca un qualcosa d’intenso e di profondo, creando una colossale versione della fine delle cose attraverso innumerevoli e innumerevoli fili,” scrive Ted E. Grau sulle pagine del proprio Cosmicomicon.

Galleria: sito ufficiale www.chiharu-shiota.com.

Andrea Bonazzi